Con il termine “Daspo”, si intende il Divieto di accedere alla manifestazioni sportive.

Esso è previsto e disciplinato dalla legge n. 401, del 13 dicembre 1989, la quale venne introdotta in Italia per contrastare la violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive (in particolare per le partite di calcio), problema che esplose in tutta la sua gravità il 29 maggio 1985, in occasione della finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, allo stadio Heysel di Bruxelles quando la violenza degli ultras inglesi generò disordini che causarono la morte di 39 tifosi quasi tutti italiani, un episodio che scosse l’opinione pubblica a livello europeo e che condusse alla firma della Convenzione Europea conclusa a Strasburgo il 19 agosto del 1985.

In buona sostanza, esso “è una misura di prevenzione atipica ed è caratterizzata dall’applicabilità a categorie di persone che versino in situazioni sintomatiche della loro pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica con riferimento ai luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive, ovvero a quelli, specificatamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni stesse”.

Tale provvedimento disciplinare può essere emesso dal Questore della provincia di riferimento, a seguito di  denuncia ovvero segnalazione  dei predetti requisiti in capo ad un soggetto (ossia pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica: Daspo preventivo) o dal Giudice, a seguito di condanna penale per reati connessi a manifestazioni sportive (Daspo penale): nel primo caso, esso può avere una durata che varia da uno a cinque anni (a seguito del Decreto Pisanu, varato nel febbraio 2007, dopo gli scontri di Catania che causarono la morte dell’Ispettore di Polizia Filippo Raciti); nel secondo, invece, una durata da 2 ad 8 anni.

Esso può essere accompagnato dal cosiddetto obbligo di firma, tramite il quale il soggetto interessato è costretto a presentarsi in un ufficio di Polizia nel periodo in cui è previsto lo svolgimento della manifestazione vietatagli, e dalla pena accessoria della condanna allo svolgimento di lavori socialmente utili per la collettività.

Da quanto emerso, è chiaro che, allo stato dell’attuale legislazione, il Daspo può essere emesso dagli organi competenti, non necessariamente dopo una condanna penale, ma anche a seguito di una semplice denuncia: circostanza, questa, che ha fatto dubitare della sua costituzionalità, specie da parte del mondo ultras (la stessa Corte Costituzionale, però, è intervenuta sul punto, con la sentenza n. 512 del 2002, inquadrando la misura del Daspo tra quelle di prevenzione, che possono quindi essere inflitte indipendentemente dalla commissione di un reato, compromettendo di fatto alcune libertà fondamentali come quella di circolazione, ex art. 16 della Costituzione).

I Casi tipici di applicazione della misura sono:

1) porto d’armi o oggetti atti ad offendere;

2) uso di caschi protettivi o altro mezzo idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona;

3) esposizione o introduzione di simboli o emblemi discriminatori o razzisti;

4) lancio di oggetti idonei a recare offesa alla persona, indebito superamento di recinzioni o separazioni dell’impianto sportivo, invasione di terreno di gioco e possesso di artifizi pirotecnici;

5) l’aver preso parte attiva ad episodi di violenza contro persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive o l’aver, nelle medesime circostanze, incitato, inneggiato o indotto alla violenza.

Infine é bene evidenziare che il Daspo:

1) può essere disposto anche per le manifestazioni sportive che si svolgono all’estero o, al contrario, comminato dalle competenti Autorità degli altri Stati membri dell’Unione Europea per le manifestazioni sportive che si svolgono in Italia;

2) può essere comminato anche nei confronti di soggetti minori di anni 18, che abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età (in tal caso, il divieto è notificato a coloro che esercitano la patria potestà).

Infine, avverso tale provvedimento è ammesso ricorso al T.A.R. (Tribunale Amministrativo Regionale).