Il legislatore italiano ha previsto nel corso del tempo una serie di ipotesi di reato estremamente ampia: si va da reati di un certo spessore come l’omicidio, a fattispecie che si verificano invece più frequentemente, come ad esempio l’ingiuria.

È opinione di certo diffusa quella secondo cui vi sono delle circostanze in cui l’autore di un fatto costituente reato potrebbe non essere, in realtà, meritevole di pena, vuoi per la lievità del danno cagionato, vuoi per le modalità con cui il fatto viene commesso.

Si pensi, ad esempio, al reato di furto: tale delitto può avere ad oggetto beni di grande valore, ma anche beni di infima rilevanza.

Certamente il furto di una mela non potrà essere paragonato al furto di un’opera d’arte, e l’autore del primo difficilmente potrà dirsi meritevole anche solo della pena minima prevista dall’art. 624 c.p. (reclusione da sei mesi a tre anni e multa da euro 154 a 516).

Ciò posto, deve, tuttavia, considerarsi che nel nostro ordinamento l’art. 112 Cost., contenente il principio di obbligatorietà dell’azione penale, impone al Pubblico Ministero di attivarsi per portare alla cognizione del Giudice tutte le notizie di reato, dalla più lieve, alla più grave.

Ebbene, per risolvere le incongruenze sistemiche che sorgono ogni qual volta il Pubblico Ministero debba perseguire l’autore di un reato cd. bagatellare (non meritevole di essere punito), il legislatore italiano è intervenuto mediante il d.lgs. n. 28/2015 che ha introdotto nel nostro ordinamento, all’art. 131-bis c.p., l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Secondo tale normativa, in presenza di determinate condizioni, i Giudici italiani potranno decidere di non punire chi abbia commesso un fatto che si considera particolarmente tenue.

Inoltre, lo stesso Pubblico Ministero potrà decidere di richiedere l’archiviazione delle notizia di reato particolarmente tenue all’esito delle indagini preliminari, facendo sì che il procedimento penale sia arrestato prima ancora di iniziare.

Sul punto, va evidenziato che la definizione di “tenuità” non è lasciata alla discrezionalità dell’Autorità giudiziaria.

L’istituto previsto dall’art. 131-bis c.p. trova, infatti, applicazione, per espressa previsione legislativa, solo in relazione ai reati punibili con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni o con pena pecuniaria, sola o congiunta a predetta pena.

Tali reati devono caratterizzarsi per la particolare tenuità dell’offesa, valutata in relazione alle modalità della condotta e all’esiguità del danno o del pericolo cagionati, e per la non abitualità del comportamento del suo autore.

Naturalmente, il concetto di “tenuità” non è sinonimo di “inoffensività”: l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. permette di lasciare esente da pena chi abbia comunque cagionato un danno o un pericolo, pur se particolarmente esigui.

Tuttavia, in questo meccanismo è lasciato poco spazio alla voce della vittima del fatto di particolare tenuità.

Invero, alla persona offesa non è attribuito alcun potere di veto rispetto all’applicazione dell’istituto in oggetto, potendo unicamente essere sentita dal Giudicante al fine di determinare l’entità del danno o del pericolo.

Lo scopo della normativa di recente introduzione non è quello di tutelare le vittime, ma, piuttosto, per esplicita dichiarazione del Consiglio dei Ministri, quello di arginare il fenomeno dell’ipertrofia verticale del diritto, del moltiplicarsi di quelle manifestazioni di minima rilevanza di fattispecie di reato astrattamente gravi la cui prosecuzione porta unicamente al sovraccarico del sistema giudiziario.

La grande pecca dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto è, tuttavia, quella di coinvolgere, in un meccanismo diverso ma fin troppo simile a quello della vera e propria depenalizzazione, ipotesi di reato che, pur se punite con pene lievi, presentano profili di estrema sensibilità.

Un esempio emblematico riguarda il reato di “Abbandono di animali” (art. 727 c.p.) che, punito con la pena dell’arresto fino ad un anno o con ammenda, rientra perfettamente nel range applicativo dell’art. 131-bis c.p., come anche il delitto di “Sottrazione e trattenimento del minore all’estero” (art. 574-bis c.p.), punito con la reclusione da uno a quattro anni.

In quest’ottica sarebbe stato più opportuno da parte del legislatore attribuire alla vittima del reato la possibilità di impedire l’applicazione del nuovo istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto o, ancor più opportunamente, far sì che il risarcimento del danno patito fosse uno dei requisiti d’accesso al sistema della non punibilità.