Il termine inglese Stalking, mutuato dal linguaggio dei cacciatori, significa letteralmente “fare la posta a qualcuno”, attraverso comportamenti che possono andare dalla sorveglianza costante alla ricerca continua di un contatto e che, normalmente, portano lo stalker a concentrare una serie di attenzioni morbose nei confronti della propria vittima, generandole stati di paura e ansia, arrivando persino a compromettere lo svolgimento della normale vita quotidiana.

Il fenomeno dello Stalking iniziò ad essere definito come tale all’inizio degli anni ottanta negli Stati Uniti a seguito di gravi fatti di cronaca che videro protagonisti alcuni personaggi dello spettacolo presi d’assalto e perseguitati da ammiratori particolarmente ossessionati: fu così che nel 1991 in California venne emanata la prima legge anti-Stalking, mentre In Italia il reato di Stalking è stato introdotto a seguito dell’approvazione del D.L. 23 febbraio 2009 n. 11, convertito con Legge 23 aprile 2009 n. 38, che ha visto l’inserimento nel codice penale dell’art. 612 bis rubricato “Atti persecutori”.

Da un punto di vista criminologico, lo stalker è una persona che non riesce ad accettare l’abbandono del partner o di altra figura significativa e che cerca di ristabilire il rapporto interrotto, oppure un individuo che nutre un rancore per una causa estranea ad un rapporto affettivo, ma dovuta ad un altro tipo di rapporto quale ad esempio professionale; in altri casi lo stalker è un molestatore sessuale, che individua l’oggetto del suo desiderio nella vittima (anche sconosciuta) ed effettua una serie di tentativi di approccio.

Da un punto di vista pratico, l’esperienza giudiziaria di altri paesi e le scienze psichiatriche hanno condotto all’individuazione di tutta una serie di tipiche ipotesi di condotte di stalking, che vanno dal pedinamento ad  altre forme di controllo sulla vita del soggetto molestato ad esempio: sorveglianza attorno all’abitazione o al luogo di lavoro; comunicazioni intrusive con la persona o con i suoi conoscenti (telefoniche, anche con sms; per posta; per e-mail; con messaggi lasciati sulla macchina o sulla porta di casa del molestato; etc.); nelle condotte minacciose di qualsiasi tipo dirette alla vittima o ai suoi familiari; in approcci diretti, in pubblico o sul luogo di lavoro; in comportamenti ulteriori, come l’ordinare beni per conto del molestato, l’invio di doni non graditi, il far trovare oggetti (per esempio animali o parti di animali morti), gli atti di vandalismo sulle proprietà del molestato ( per esempio tagliare le gomme dell’automobile), l’uccisione di animali domestici della vittima,etc.

Con l’introduzione di detta disposizione il legislatore ha inteso arginare un fenomeno sempre più diffuso che colpisce ogni anno un elevato numero di vittime, soprattutto donne.
A norma dell’art. 612-bis c.p., dunque, soggiace alla pena prevista per il reato di atti persecutori (reclusione da sei mesi a cinque anni):

colui che con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da ingenerare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

La pena prevista è poi aumentata qualora il fatto sia commesso nell’ambito familiare (art. 612-bis, comma 2) o qualora sia commesso in danno di particolari soggetti c.d. deboli, quali i minori, le donne in stato di gravidanza o i disabili (art. 612-bis, comma 3).

Il delitto è punito normalmente a querela della persona offesa, ma si procede d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’art.3 della legge 5 febbraio 1992, n.104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto.